lunedì 13 giugno 2016

Il Ramadan tra Storia e religione

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“O voi che credete, vi è prescritto il digiuno come era stato prescritto a coloro che vi hanno preceduto…Chi però è malato o è in viaggio, digiuni in seguito altrettanti giorni. Ma per coloro che a stento potrebbero sopportarlo c’è un’espiazione: il nutrimento di un povero…E’ nel mese di Ramadan che abbiamo fatto scendere il Corano, guida per gli uomini e prova di retta direzione e distinzione…”
(Corano, sūra II, al-Baqara, La Giovenca, 183-185)

Perché i musulmani celebrano il mese di Ramaḍān (رمضان)? Qual è  l’origine della tradizione del digiuno e quali precetti religiosi è necessario osservare? Quali sono le radici storiche di questo momento tanto importante per la comunità islamica?

Il Ramaḍān , che quest’anno cade tra il 7 giugno e il 5 luglio, è un periodo di purificazione e riflessione per i musulmani. Contrariamente a quanto sostengono alcuni, non si tratta di un mese in cui tutte le notti sono dedicate a festeggiamenti esagerati. Il Ramaḍān rappresenta, infatti, una sorta di “pausa” della mente, durante la quale dedicarsi non solo alla preghiera, ma anche all’attenta lettura del Corano e alla meditazione sul testo. I musulmani ricordano, in questi giorni, la Rivelazione del Libro Sacro al profeta Maometto, attraverso l’arcangelo Gabriele. Proprio per onorare tale Messaggio i credenti seguono il precetto del digiuno, che è anche uno dei Pilastri dell’Islam.


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Lo studioso Di Nola, nel saggio “L’Islam. Storia e segreti di una civiltà” (Newton Compton, 1998), spiega che tale uso è stato, con tutta probabilità, mutuato dal Cristianesimo e dall’Ebraismo. In un primo momento Maometto adottò “l’ʿĀshūrāʾ” (اشوراء), ovvero il giorno del digiuno, rifacendosi alla tradizione ebraica collegata allo Yom Kippur (“giorno dell’espiazione”); anche durante quest’ultima celebrazione, infatti, alcune azioni come mangiare, bere o avere rapporti sessuali sono rigorosamente vietate. Le relazioni diplomatiche tra il Profeta e il popolo ebraico, però, vacillarono per questioni politiche e religiose, dunque l’Āshūrāʾ assunse carattere facoltativo e il mese di Ramaḍān divenne, a tutti gli effetti, il periodo dell’astinenza obbligatoria.

A tal proposito si può aggiungere che la radice della parola Ramaḍān, ovvero “rmḍ” vuol dire “calore”: questo periodo, quando gli Arabi usavano ancora il mese intercalare per far coincidere l’anno solare e quello lunare (sistema abolito dallo stesso Maometto), cadeva nel bel mezzo dell’estate (ora la sua posizione, come si sa, è “mobile”, dal momento che i musulmani usano calcolare il tempo in base all’anno lunare, partendo dall’Egira, avvenuta nel 622 d.C.).

I malati, i viaggiatori, le donne incinte, le puerpere, le donne durante il ciclo mestruale e i bambini sono alcune delle categorie di persone che possono evitare il digiuno. Nei casi più gravi o, in generale, di evidente impossibilità, la dispensa è totale e può essere sostituita dall’elemosina; altrimenti è necessario recuperare i giorni in cui non è stato possibile osservare la tradizione religiosa. Per esempio un viaggiatore si trova in una condizione per cui il digiuno, una volta terminato il viaggio e se non vi sono altri seri impedimenti, può essere ripreso, recuperando il tempo “perduto”.

L’astinenza, quindi, fa parte di un più ampio percorso spirituale di espiazione ed è regolata in maniera molto dettagliata dal fiqh (الفقه‎ il diritto), in base al quale, tra l’altro, anche il fumo, i rapporti sessuali e l’alcol sono annoverati tra le cause di interruzione del digiuno. Questo percorso, ovviamente, riguarda sia il corpo che l'anima: durante il Ramaḍān è doveroso astenersi dai litigi, dalle bugie e dai pettegolezzi. Il fedele, insomma, deve cercare di mantenersi in uno stato di purità assoluta. Ogni giorno, prima dell’alba, questi dovrebbe formulare la “nīyya” (نية), cioè “l’intenzione” del digiuno.

Nella pratica, però, è ormai consuetudine fare tale dichiarazione solo una volta, al tramonto della notte che precede l’inizio del Ramaḍān. Di solito, poi, i musulmani preferiscono fare un pasto frugale prima che il sole si affacci all’orizzonte (sāḥūr) e solo dopo il tramonto interrompere il digiuno con un pasto più sostanzioso (faṭūr).

Il primo giorno del mese di Šawwāl (شوّال) si chiude ufficialmente il tempo della purificazione. Il Ramaḍān è appena passato (Ramaḍān e Šawwāl sono, rispettivamente, il nono e il decimo mese del calendario islamico) e il digiuno viene interrotto con la festa dell’ʻĪd al-Fiṭr (عيد الفطر‎‎), caratterizzata da sontuosi banchetti, dallo scambio di doni (destinati soprattutto ai bambini) e da un periodo di riposo da passare in famiglia.


La Notte del Destino

Si è già accennato alla celebrazione della Rivelazione durante il mese di Ramaḍān nell’anno 610. Il Corano narra questo evento fondamentale per l’Islam nella sūra al-Qadr,Il Destino”: “…Invero lo [in riferimento al Corano] abbiamo fatto scendere nella Notte del Destino…la Notte del Destino è migliore di mille mesi. In essa discendono gli Angeli e lo Spirito [in riferimento all’arcangelo Gabriele], con il permesso del loro Signore…E’ pace, fino al levarsi dell’alba” (al-Qadr, 96, 1-8).

Per tradizione la Notte del Destino (“Laylat al-Qadr” لیلة القدر‎‎) viene ricordata nella notte tra il 26 e il 27 di Ramaḍān. I fedeli musulmani si riuniscono nelle moschee o rimangono in casa a pregare, a leggere il Corano e a chiedere perdono per i peccati fino all’alba.

Il Libro Sacro racconta anche la “discesa” del Messaggio di Allah su Maometto: “Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato…l’uomo da un’aderenza. Leggi! Che il tuo Signore è il generosissimo, Colui che ha insegnato mediante il calamo…all’uomo quello che non sapeva” (sūra “al-‘Alaq”, “L’Aderenza”, 96, 1-5).


Il Pellegrinaggio

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Come ogni anno si prevede un’alta affluenza di pellegrini verso La Mecca per l’ḥaǧǧ (حَجّ), il pellegrinaggio. Proprio in vista di questo evento l’Arabia Saudita ha rafforzato i controlli e i sistemi di sicurezza.

L’Iran, stando alle notizie più attuali, ha sospeso il pellegrinaggio per tutto il 2016 adducendo come spiegazione la mancata sicurezza dei viaggiatori, soprattutto dopo gli incidenti avvenuti nella città sacra lo scorso anno; nella calca persero la vita 717 persone, tra cui circa 500 iraniani e ne rimasero ferite più di 800.

La questione ha dato origine a una vera e propria crisi diplomatica, a cui non sono estranei anche interessi economici, tra Iran e Arabia Saudita. A ciò si somma il valore religioso del pellegrinaggio, uno dei cinque Pilastri dell’Islam, su cui si sono basati i tentativi di mediazione.


Conclusione

Il mese di Ramaḍān rappresenta un momento di “connessione” tra l’uomo e la divinità. La consapevolezza di questo legame è presente in tutte le religioni, benché sia espressa in modi e tempi diversi.

Tale “connessione”, per chi crede, non si interrompe mai, ma rischia di rimanere nascosta tra gli impegni e la frenesia della vita quotidiana. I periodi di purificazione, preghiera e studio servono proprio a ritrovare “il filo” che collega la parte umana a quella divina, sono un’interruzione della quotidianità che spinge gli uomini alla ricerca interiore che li aiuterà ad affrontare l’esistenza seguendo la coscienza.


Bibliografia e sitografia

La Repubblica sugli incidenti a La Mecca:
Donner Fred, “Maometto e le origini dell’Islam”, Einaudi, Torino, 2011;
Mandel Gabriele, “Islam”, Electa, Milano, 2006;
a cura di Bausani Alessandro, “Il Corano”, Rizzoli, Milano, 2006;
Piccardo Hamza Roberto, “Il Corano”, Newton Compton, Roma, 2006;
Di Nola Alfonso, “L’Islam. Storia e segreti di una civiltà”, Newton Compton, Roma, 1998; Bausani Alessandro, “L’Islam”, Garzanti, Milano, 1999.

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